
Un ricordo affettuoso tra palcoscenico, memoria e radici
Ci sono voci che non si spengono. Ci sono presenze che restano, silenziose ma vive, in ogni parola detta, in ogni poesia letta, in ogni palco calpestato con l’anima. Alessandro Quasimodo era una di queste voci. Un attore, un regista, un uomo colto e profondo, ma soprattutto un custode attento della memoria poetica italiana, a partire da quella di suo padre, il Premio Nobel Salvatore Quasimodo.
Con lui se ne va non solo un grande interprete, ma anche un ponte tra generazioni, tra la parola scritta e quella recitata, tra il ricordo e il presente. Non interpretava la poesia: la restituiva con rispetto, la faceva vibrare come fosse musica, la rendeva viva anche per chi non credeva di capirla.
Alessandro sapeva ascoltare i versi come si ascolta un battito del cuore. Li diceva col corpo, con gli occhi, con quella voce inconfondibile, spesso densa di emozione, altre volte appena sussurrata. Era un uomo che si muoveva con leggerezza tra cultura, teatro, scuola e affetti, offrendo generosamente il suo sapere e la sua gentilezza.
Dietro la figura pubblica c’era una persona garbata, delicata, sempre disponibile. Chi lo ha conosciuto, anche solo per poco, conserva il ricordo di uno sguardo buono, di una parola gentile, di un gesto che sapeva parlare da solo. Era un uomo d’altri tempi, eppure così presente nel tempo presente.
Oggi, mentre lo salutiamo, non possiamo che ringraziarlo per ciò che ha lasciato: un’eredità di bellezza, di pensiero, di autenticità. La sua voce resta. Resta nei teatri, nei video, nei ricordi. Ma soprattutto resta nella poesia, perché chi ama profondamente le parole non muore mai davvero.
Grazie, Alessandro. Il silenzio oggi è pieno della tua voce.